venerdì 9 agosto 2019

4 - "Com'è Morto il Baronetto?" ("The Crowning Murder", 1938) di H.H. Stanners

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore
Se è ampiamente accertato che esistono numerosi capolavori conosciuti e celebrati dagli appassionati di crime story, quali ad esempio "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers e "Dalle Nove alle Dieci" di Agatha Christie, è altrettanto vero che molti meritevoli romanzi gialli della Golden Age sono stati invece dimenticati e trascurati. Una circostanza che, per quanto spiacevole, dopotutto si può considerare naturale: i libri di questo genere sono talmente numerosi che, se qualcuno sfugge alla nostra attenzione, non c'è poi da stupirsene. "Com'è Morto il Baronetto?" di H.H. Stanners (Polillo Editore, 2019), appartiene a pieno titolo a questa categoria: infatti, dopo essere stato pubblicato per la prima volta nel 1938, esso è sparito dalle scene editoriali di tutto il mondo (Inghilterra compresa) fino alla sua recente ristampa avvenuta in Italia. Chissà qual è stato il motivo di questo passato oblio. Forse è stato dato alle stampe nel momento sbagliato o impiegando cliché inflazionati per il suo tempo, oppure il suo autore non è riuscito a raggiungere la fama che desiderava e, complice la delusione, ha smesso di scrivere e farsi pubblicità; ipotesi, queste ultime, suffragate dalla biografia quasi inesistente di Stanners e dal fatto che questo libro tratti di un tipico caso di "delitto-della-casa-di-campagna", con un certo numero di sospetti, che varia dai parenti della vittima ai vicini di casa ad alcuni conoscenti del villaggio sito poco distante, la familiare figura dell'investigatore dilettante e indizi nascosti tra le righe. Tuttavia, se questi elementi di trama suggeriscono a prima vista una storia abbastanza ordinaria e simile a tante altre, in realtà ci troviamo davanti a un'indagine che, in quanto a contenuti, temi affrontati o appena toccati e stile scorrevole, possiede una marcia in più. Infatti, se da una parte l'enigma riesce ad intrattenere il lettore e a spingerlo a voler scoprire la sua soluzione il più in fretta possibile, dall'altro lo accompagna lungo le sue vicende attraverso digressioni interessanti e citazioni mai banali, descrizioni dettagliate dei luoghi e simpatici siparietti tra i personaggi coinvolti, producendo un risultato gradevole e leggero.

La trama prende avvio da un fatto realmente accaduto, ovvero l'incoronazione di Giorgio VI a Re d'Inghilterra nel 1937. In tutto il Paese sono in atto grandi festeggiamenti, in città e in campagna, nelle modeste case dei borghesi e nelle ville aristocratiche, poiché la gente desidera rendersi partecipe a un evento epocale come questo; eppure, c'è anche qualcuno che mostra una certa indifferenza nei confronti di tale celebrazione. Lo scrittore Derek Furniss e il suo amico Charles Harding, un professore americano di diritto internazionale in trasferta nella Vecchia Europa, infatti, non appaiono minimamente toccati dall'eccitazione che pervade i loro vicini e gli abitanti del villaggio di Bradford, e decidono di restare al White Cottage di Furniss per trascorrere la serata giocando a scacchi. Nel villino e nelle abitazioni nelle vicinanze non si trova più nessuno, neppure i domestici a fare la guardia contro i ladri; solo l'eccentrico finanziere Sir Jabez Bellamy ha disdetto in tutta fretta la propria partecipazione all'allegra baldoria adducendo la scusa di star aspettando un'importante telefonata. Quindi, per Furniss e Harding si prospetta una notte di tranquillo divertimento; se non fosse che, mentre i due amici si stanno preparando a giocare una nuova partita, vengono disturbati da una chiamata proveniente proprio da Bellamy, il quale sollecita lo scrittore per avere un incontro a quattr'occhi. Il tono usato dal finanziere lascia supporre che abbia bevuto un goccetto di troppo, quindi Furniss rifiuta gentilmente la richiesta di Sir Jabez e lo dissuade dal suo proposito; tanto più che pare strano che egli intenda abbandonare l'apparecchio della sua casa, se davvero deve ricevere rilevanti notizie per telefono. Poco dopo l'interruzione viene dimenticata e, passata la mezzanotte, Harding viene riaccompagnato  presso i signori Derwent-Smith, i quali lo ospitano insieme a un nipote acquisito, Hugh Bryant. Il giovanotto rincasa da solo qualche minuto dopo il professore, con aria tetra, rifiutandosi di dare spiegazioni sulla serata trascorsa e lamentandosi del frivolo comportamento di sua cugina Brenda.

Una cosa, tuttavia, accenna con qualche riserva, e cioè di aver investito qualcosa lungo la strada che corre tra Reddington e l'incrocio di Englemere, ma di non essersi fermato a controllare cos'ha colpito. Harding, a questo punto, lo esorta a denunciare il fatto e a costituirsi alla polizia per affrontare le conseguenze del suo gesto sconsiderato, poiché è inevitabile che a breve tutta la faccenda diventerà di dominio pubblico; e la scoperta, al mattino dopo, che Sir Jabez non è rientrato dalla passeggiata serale cui aveva accennato nella telefonata a Furniss suscita l'apprensione della gente dei dintorni. È forse lui la vittima dell'incidente avvenuto a notte fonda? La successiva scoperta del cadavere del baronetto, nella cava dietro la sua villa, con un foro di proiettile alla tempia, suggerirebbe che si tratti di due casi del tutto separati, eppure non si può escludere alcuna possibilità: magari Hugh può aver solo tramortito il baronetto con la macchina e poi, credendolo morente, avergli sparato per porre fine alla sua agonia e averlo scaricato lontano dal luogo dell'incidente. In ogni caso, la morte di Bellamy solleva un putiferio e getta nel panico tutti i suoi conoscenti, i quali tentano di minimizzare il fattaccio, dapprima sostenendo che l'umore di Sir Jabez si era fatto tale da non poter escludere un suicidio e in seguito, quando si affaccerà l'ipotesi di un omicidio, affrettandosi a presentare un alibi per la sera dell'Incoronazione. Ognuno di loro, infatti, sembra aver avuto un buon motivo per togliere di mezzo lo scomodo baronetto, impiccione e sgradevole come pochi; eppure Harding, che si diverte ad investigare per conto proprio, non riesce ad inquadrare bene il caso. Innanzitutto, ci sono troppi indizi che non quadrano con le ipotesi avanzate dai poliziotti, sfumature dell'indagine che non si accordano del tutto con le spiegazioni fornite dagli esperti; ma sono soprattutto i legami stretti tra i principali sospettati a lasciare il professore sorpreso e confuso. Con l'aiuto di Furniss e delle proprie conoscenze, Harding si impegna a districare la complessa matassa di sospetti e bugie per arrivare alla verità, inaspettata ma logica come nelle migliori detective novels classiche.

"Incoronazione di Sua Maestà Giorgio VI e della Regina
Elisabetta", Frank O. Salisbury (1937)
"Com'è Morto il Baronetto?" è un tipico esempio di come un giallista riesca a mettere in mostra solo ciò che desidera e a nascondere, tra le righe, gli indizi necessari a scovare il colpevole del delitto. Infatti, come si scoprirà nella spiegazione finale, in quanto a fair-play questo romanzo si accorda in tutto e per tutto alle regole fondamentali del genere, rispettando il principio secondo cui niente viene lasciato al caso e ogni cosa è necessaria al fine di trovare la soluzione. Ciò dovrebbe aver assicurato a Stanners un posto tra le fila dei migliori romanzieri del crimine della Golden Age; eppure, come ho sottolineato sopra, insieme ai suoi libri esso è stato presto dimenticato. Un peccato e una stranezza, per un autore che è stato capace di confezionare una storia tanto gradevole. Pur affidandosi in parte ai soliti cliché del giallo classico, infatti, in questo caso egli tratta numerosi aspetti scientifici delle indagini come potrebbe fare Richard Austin Freeman col suo dottor Evelyn Thorndyke: la chimica e le altre scienze pure sono spesso citate nel corso della storia, con l'aggiunta supplementare di un eccentrico analista che si preoccupa soltanto dei propri studi e tralascia la vita sociale a favore di un isolamento volontario. L'analisi delle erbe e delle polveri, rinvenute sul luogo del delitto e in altri posti interessati dall'attenzione della polizia e rilevate da Harding (come un novello Sherlock Holmes, per citare un altro personaggio famoso) con la cura dell'appassionato, saranno determinanti per stabilire i tempi di azione dell'assassino e lo svolgersi degli eventi durante la sera dell'Incoronazione; per non parlare della parte importante che la balistica occuperà nello svolgimento dell'indagine.

Oltre agli elementi "matematici" del caso, inoltre, Stanners esamina in breve anche altri argomenti quali l'amministrazione degli affari e esercizio della giustizia (i discorsi tra Harding e l'avvocato Newth assomigliano a quelli che si potrebbero ascoltare nello studio legale descritto da Michael Gilbert in "C'è un Cadavere dall'Avvocato", mentre il discorso sulla corte a rotazione e la faziosità dei magistrati gettano una nuova luce sul comportamento di questi ultimi) e i metodi della polizia, ortodossi o meno che siano (la "routine" degli agenti illustrata perfettamente dal Roderick Alleyn di Ngaio Marsh, con tanto di riunioni tra sovrintendenti e sottoposti, e la raccolta di pettegolezzi dell'ispettore Marriott presso Branting, che ricorda un po' l'operato di Sir Henry Clithering al fianco dell'arguta Miss Marple di Agatha Christie). Oltre a ciò, poi, bisogna contare alcune brevi digressioni che, pur non avendo grande rilevanza nei confronti dell'omicidio di Sir Jabez, dimostrano l'ingegnosità dell'autore e una certa inclinazione all'umorismo: lo scherzo ai danni del coroner Pritchard e, soprattutto, il caso del furto avvenuto in casa di mrs. Polsom; vera e propria "indagine dentro l'indagine". Insomma, non si può dire che Stanners sia restato con le mani in mano e abbia confezionato un enigma banale; anzi, sembra essersi impegnato a riempire le pagine del suo romanzo con quante più informazioni possibili, utili o meno alla scoperta del colpevole, allo stesso modo della Sayers. Perché, allora, "Com'è Morto il Baronetto?" non è sopravvissuto fino ai nostri giorni, allo stesso modo di "Lord Peter e l'Altro" o "Il Segreto delle Campane"? Da parte mia penso che, pur assomigliando alle opere di quest'ultima, esso risulti più dispersivo e possa per questo aver pagato caro l'aver tentato di imitare i capolavori della grande Dorothy.

Edizione originale di "Com'è Morto il
Baronetto?" (1938)
La fitta nebbia che circonda e oscura lo stesso H. H. Stanners (pseudonimo di Harold H. Stanners) ha forse contribuito a pregiudicare la fama dei suoi romanzi: i membri del Detection Club, ad esempio, pur riservati e poco inclini all'incontro coi lettori, avevano messo in atto una serie di progetti che li portasse ad essere conosciuti dai lettori e, quindi, a sponsorizzare il proprio operato. Stanners, invece, pare non aver fatto nulla di tutto ciò; tanto che della sua vita non si conosce praticamente nulla. I tratti ufficiali che lo riguardano si possono riassumere così: era un signore inglese di nascita, nato nel 1894 e morto nel 1958, e autore di tre mysteries: "Murder at Markendon Court" (1936), "At the Tenth Clue" (1937) e questo "Com'è Morto il Baronetto?" (1938). Tutto qui. Non si sa altro su di lui, né se abbia partecipato a qualche guerra (anche se nella lista del personale della RAF, nel 2° squadrone tra il novembre 1917 e l'aprile 1918, figura un certo H. Stanners), né se si sia sposato, né se abbia vissuto all'estero o se si sia stabilito a Londra. Tuttavia, come ha insegnato Martin Edwards con "The Golden Age of Murder", qualcosa si può sempre rilevare da ciò che gli autori hanno scritto; perciò voglio arrischiarmi a fare qualche congettura su Stanners. Da quanto ho potuto capire dalla lettura di "Com'è Morto il Baronetto?", egli doveva essere un grande appassionato ed esperto di scacchi e un fervente lettore di libri, soprattutto delle opere di Shakespeare, proprio come il suo segugio dilettante (vedasi le numerose citazioni sparse tra le pagine, dai dialoghi tra Harding e Taysleigh alle attente riflessioni del professore sulla Ponziani); doveva avere delle conoscenze specifiche o comunque approfondite per quanto riguarda le scienze pure e la matematica, oltre che di legge, altrimenti non avrebbe mai scelto come protagonista un esperto di diritto internazionale; doveva aver studiato per molti anni e aver imparato a sfruttare forme espressive diverse tra loro, come dimostrano i resoconti tra i poliziotti (capp. 3 e 10), il dialogo informale tra Marriott e Branting (cap. 9), lo stile epistolare sfruttato da Mr. Newth (cap. 14) e i piacevoli battibecchi "alla Sherlock-Watson" tra Harding e Furniss; doveva nutrire un certo senso dell'umorismo, simile a quello di Anthony Berkeley, per escogitare un finale del genere; doveva ammirare gli scrittori di detective novels per decidere di produrne tre in proprio e seguire le loro rigide regole. Una certa cultura viene suggerita anche dalla grande attenzione che mise nel tratteggiare le ambientazioni dei luoghi raccontati e dalla padronanza con cui delineò le personalità dei suoi personaggi (soprattutto Harding, Furniss, Newth e Brenda). Senza dimenticare l'alta qualità dell'enigma che ci viene sottoposto, fornito di indizi e logico. Tutti questi sono piccoli dettagli, minuscoli segni rivelatori di un ingegno sopraffino che, pur non consegnandoci un capolavoro, in ogni caso ci offre un libro ben riuscito, gradevole, capace di stupire e di irretire, scritto con uno stile pulito ed elegante e sicuramente meritevole di lodi, tanto da essere stato giudicato dai critici Barzun & Taylor come "di prima classe". Mi auguro che Polillo riesca a tradurre anche gli altri due titoli ancora inediti di Stanners; se le premesse costituite da questo romanzo saranno mantenute, non vedo come si possa permettere che un autore di questo calibro resti ancora a lungo dimenticato.

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